Il Chev-jar, così lo chiamavano i persiani, parola che è arrivata fino a noi solo leggermente modificata: caviale, ikra in russo, con questo nome si identificano le pregiate uova di storione.
“Il caviale è stato da sempre una vivanda raffinata riservata a categorie particolari. Quando si legge di festini offerti da potenti, di qualsiasi genere essi siano, alle loro belle, troviamo ostriche – magari con perle come capitò alla bella otero – , aragoste e altri piatti sopraffini preparati dai migliori cuochi; di caviale però si parla poco, proprio perché è quasi un’offerta, che deve essere riservata alle sole persone veramente importanti, quelle che comunque avranno un posto permanente nella vita affettiva dell’ospite”
così scrive Rory Buonassisi nel suo libro “Nero o Rosso – La storia del caviale”.
In Russia assistiamo al fenomeno di un alimento che arriva a essere addirittura il simbolo dello stesso paese. Diventa il piatto degli zar, la vivanda di corte per eccellenza; ma nelle stesso tempo, è l’alimento più popolare, quello che tutti desiderano e su cui tutti si gettano non appena ne hanno l’occasione.
Anche in Italia c’erano storioni e caviale nel fiume Po e Ticino, tanto che Cristoforo da Messisburgo, il famoso gastronomo della famiglia Estense, nella prima metà del 1500 pubblicò addirittura una ricetta sul come fare il caviale, che chiamava caviamo, anzi, di ricette, ne pubblicò addirittura due: una per il “caviaro per mangiar fresco” e una seconda per il “caviaro per salvare”, da conservare.
Leggere queste due ricette è affascinante. Per il Messisburgo le uova migliori sono quelle molto nere; la quantità di sale che prescrive per il caviale fresco è di “un terzo d’oncia di sale per libbra di uova. Per quello da conservare, invece, la quantità di sale era più alta, circa il 4 per cento; la cosa strana è che viene prescritto una schema di riscaldamento che ricorda molto l’attuale pastorizzazione e poi si raccomanda di conservare sottolio questo tipo di caviale; secondo il famoso gastronomo le uova di storione così trattate potevano essere conservate per due anni.
Altra grande testimonianza dell’utilizzo del caviale come alimento di grande prestigio un menù interamente a base di caviale realizzato nel 1570 da Bartolomeo Scappi, per la salita al trono di Papa Pio V di cui era cuoco privato. Sono davvero tantissime testimonianze raccontano di una tradizione che appartiene da sempre all’Italia e che ha rischiato di essere perduta. C’è perino una leggenda che narra del genio rinascimentale Leonardo Da Vinci, che vedendo uno storione del Ticino, ebbe l’idea di donare le sue preziose uova racchiuse in uno scrigno incastonato di pietre preziose a Beatrice d’Este, durante il suo banchetto nuziale con Ludovico Sforza detto il Moro.
E il caviale a Ferrara si è continuato a prepararlo fino all’ultima guerra, anche se in quantità minime.
La tradizione ha però rischiato di morire definitivamente con l’estinzione delle tre specie autoctone italiane: l’Acipenser Sturio, l’Huso Huso e l’Acipenser Naccarii di cui si è salvata solo l’ultima, ora allevata nel parco del Ticino e reintrodotta anche in natura grazie all’intervento di Giacinto Giovannini che, negli anni Settanta, acquistò gli ultimi cinquanta esemplari rimasti dopo la costruzione delle dighe lungo il Po, durante gli anni del boom economico, rischiando la scomparsa definitiva degli storioni.
Negli anni Sessanta, a cavallo tra la Lombardia e il Piemonte, all’interno di quello che
sarebbe in futuro diventato il Parco del Ticino (il primo Parco regionale creato in Italia nel
1974), la famiglia Mandelli di origine trentina, convertì una tenuta di caccia di circa 300 ettari di superficie in un’area destinata all’allevamento di trote, bovini ed agricoltura tradizionale. A cavallo tra la fine degli anni Novanta e l’inizio degli anni Duemila, complici i cambiamenti climatici, il surriscaldamento terrestre e delle acque sorgive, alcune aree della tenuta vennero convertite in allevamento di storioni, pesci più adatti ad acque calde. L’idea di riprodurre gli storioni e di sperimentarne l’allevamento in queste acque dalle caratteristiche ideali fu condivisa con la famiglia Giovannini. Si misero così le basi così per la «Storione Ticino» di Cassolnovo, nel Pavese, diventata oggi uno dei maggiori allevamenti per la produzione di caviale made in italy.
A Cassolnovo oggi la Ars Italica Caviar, che dal 1998 opera nel parco del Ticino, alleva diverse varietà del pesce preistorico privo di scheletro: le femmine, giunte intorno ai 10/12 anni di età, vengono macellate per ottenere le preziose piccole sfere scure. Uno storione di questa età può arrivare a pesare quaranta chili, le uova sono solamente circa un decimo del peso. Ogni chilo ne contiene 25 mila e una femmina può deporne fino a 100 mila uova.
A Cassolnovo (Pavia), dove opera Storione Ticino, vengono allevate 4 specie di storione, tutte certificate “Globalgap”, “Friend of The Sea” e che si fregiano del marchio “Parco Ticino – Produzione Controllata”.
L’80% degli storioni presenti è di specie Acipenser gueldenstaedtii, noto anche come “storione russo”, da cui si estrae il noto caviale Oscietra. Si tratta della prima specie ad essere stata allevata dal 1998. Questa varietà di caviale ha una colorazione che varia dal grigio chiaro al grigio scuro, lucida e brillante: il guscio dell’uovo è setoso, sottile e delicato, da molti considerato la qualità più raffinata da degustare rigorosamente in purezza e senza fretta per apprezzarne tutte le qualità istante per istante.
Il 10% circa dell’allevamento è rappresentato dall’Acipenser naccarii, da cui si ottiene il caviale Da Vinci, nome legato alla famosa leggenda, ovvero storione cobice o dell’Adriatico, salvata dall’estinzione dalla famiglia Giovannini. Il caviale Da Vinci ha un gusto iodato, intenso e deciso, che ricorda il mare, ha una consistenza particolarmente morbida e le sue uova sono caratterizzate da dimensioni medie, con tonalità che variano dal marrone al nero.
Qui engono inoltre allevate altre specie meno diffuse, ovvero l’Acipenser stellatus o storione stellato da cui deriva il caviale Sevruga, e dall’Acipenser ruthenus o storione sterleto nella rara varietà albina. Il caviale albino, per il suo colore dorato, è da considerarsi una vera e propria rarità, tanto che nell’antichità veniva riservato esclusivamente agli Zar.
Tanto lavoro e tanti anni di attesa dunque per assaporare le preziose perle nere di caviale che si sposano meravigliosamente bene con semplici crostini di pane bianco spalmati di burro, con parate semplicemente lessate o come tocco finale a preparazioni semplici di pasta o riso. La tradizione russa li vuole abbinati ai blinis con un tocco di panna acida, ma un cucchiaio, rigorosamente non di metallo, per degustarlo in purezza resta il miglior modo per percepirne al meglio il sapore.
Per apprezzare il caviale meglio evitare la vodka ghiacciata, questi accostamenti spesso servivano ad anestetizzare le papille gustative per sopportare il gusto dei caviali più vecchi, dalla salinità eccessiva e aromi molto marcati; meglio invece le bollicine secche che fondono la propria complessità aromatica a quella del caviale con effetti spesso sorprendenti.
Senza dimenticare però che lo storione, che tutti conoscono come il pesce del caviale, ha una carne bianca e delicata altrettanto preziosa per i valori nutrizionali e la delicatezza del sapore che ne fanno un alimento sano, per tutte le età e i gusti.
Lo storione è privo di scheletro, infatti ad eccezione di una parte della testa e degli scudi posti sulla pelle, non ha parti ossee ma cartilaginee che lo rendono assai fragile ma anche completamente privo di lische.
Lo storione si prepara soprattutto a tranci, cotti in padella, al forno o alla griglia o, vista la purezza delle acque in cui cresce e i rigorosi controlli è una prelibatezza che gli amanti del pesce crudo non possono perdersi.
Un’altra meravigliosa realtà italiana da apprezzare più spesso.
Ars Italica, la rinascita della tradizione dello storione e del caviale italiano.
Fonte – https://www.lalunasulcucchiaio.it/2017/10/caviale-storione-nel-parco-del-ticino-ars-italica-caviar.html